Secondo
i dati raccolti dall’associazione FamilyLegal, a seguito della sentenza
della Consulta c’è stato un incremento del 33% di richieste in Italia
ma 2 coppie su 3 scelgono Spagna, Svizzera e Ucraina per la fecondazione
assistita.
Nove anni dopo i referendum sulla fecondazione assistita, il
divieto di fecondazione eterologa è stato smantellato dalla
magistratura. Proprio come chiedeva il fronte referendario,
battuto nel 2005 alla prova delle urne, dallo scorso 9 aprile nessuna
legge dello Stato italiano può più vietare alle coppie il ricorso alla
fecondazione eterologa. Sarebbero circa 9.000 le coppie italiane, fra
quelle in lista d’attesa all’estero e quelle che hanno semplicemente
espresso il desiderio di tentare quella strada, pronte a intraprendere
il percorso, come riportato da una recente indagine di Cecos Italia.
"Secondo la rivista Human Reproduction, gli italiani che ogni anno si
rivolgono all’estero per avere un figlio si aggirano intorno ai
3.500/4.500, anche se il dato pare essere sottostimato addirittura della
metà. Il nostro Paese risulta quello più colpito dal turismo
procreativo: i pazienti ‘transfughi’ italiani rappresentavano il 31,8%
del totale", dichiara l’avvocato Lorenzo Puglisi, Presidente di
FamilyLegal, associazione che dal 2011 fotografa la situazione del
capoluogo lombardo e dell’intera regione in materia di diritto di
famiglia.
La strada però rimane in
salita. Se la sentenza della Consulta ha cancellato il divieto, il punto
interrogativo sulle procedure resta: "A oggi, il Ministero
della Salute non ha dato nessuna indicazione sull’iter e molte strutture
risultano ancora impreparate a gestire l’enorme mole delle richieste.
Solo in Lombardia sono 2000 le coppie che vorrebbero procreare tramite
questo metodo, e che migrano verso la Spagna, dove, sebbene i costi non
siano propriamente contenuti, le tempistiche sono accettabili e la
prassi è definita". Un incremento del 33% nei primi sei mesi del 2014
rispetto all’anno precedente solo a Milano, segnala FamilyLegal: «Un
trend dovuto in gran parte allo scetticismo degli italiani verso il
modus operandi delle nostre strutture sanitarie. Sono soprattutto i
nostri concittadini del sud a rivolgersi a strutture estere", specifica
Puglisi.
Per quelle coppie che
decidono di sfidare le incertezze burocratiche e l’assenza di
indicazioni chiare sulla procedura, esiste poi un ulteriore nodo da
sciogliere: meglio rivolgersi a strutture pubbliche o a quelle private?
L’attuale fotografia della situazione sottolinea un importante aumento
delle coppie trattate così come un grande divario fra nord e sud: nel
65% dei casi circa le tecniche di fecondazione assistita vengono
effettuate in centri pubblici o privati convenzionati. Tuttavia, la
situazione non è eterogenea su tutto il territorio nazionale. Le cose
vanno bene al nord, molto meno bene al sud: se in Toscana e Lombardia il
95% dei cicli è a carico del Servizio sanitario, nel Lazio, in Sicilia,
in Puglia e in Calabria, i trattamenti eseguiti nel privato sfiorano
punte anche dell’80-90%.
I costi dipendono dalle attrezzature e dall'assistenza offerte dai centri, ma anche dalla speculazione, e variano dai 2.500-3.000 euro dell'Ucraina ai 7.000- 8.000 della Spagna.
"Sorvolando su un’anomalia tutta italiana per la quale è la
magistratura, attraverso la Corte Costituzionale, a dettare scelte
normative su temi così delicati, non si può negare che il nostro
Parlamento sia il primo responsabile per la lacuna legislativa che si è
venuta a creare. E’ arrivato il momento che il premier Renzi prenda
posizione sui temi di bioetica intervenendo a sostegno di tutte quelle
strutture pubbliche che ancora oggi risultano impreparate a gestire il
futuro della fecondazione assistita. In difetto, continueremo ad essere
il fanalino di coda di un’Europa che, almeno su questi temi, si è
mostrata sicuramente più coraggiosa", conclude Puglisi.
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